LA VITA

Remo Rafael Morpurgo nacque il 27 maggio 1907 a Trieste, dall'ingegnere Benedetto, detto Paolo, ebreo italiano, e da Ester, detta Valeria, Ogrisek, austriaca, laica di tradizione cristiana, che avevano già un figlio, Renato, nato a Torino il 18 luglio 1903. Remo Rafael venne sia registrato nella Comunità israelitica di Trieste, sia battezzato.
Visse la fanciullezza nella regione istriana, frequentando le scuole austriache: apprese dunque il tedesco, sebbene in famiglia si parlasse preferibilmente l'italiano. A 14 anni si iscrisse all'Istituto nautico di Trieste e, dopo aver completato il corso, si imbarcò su diverse navi mercantili del Lloyd triestino: visitò l'Egitto, l'India, la Cina ed il Giappone (paesi in cui tornerà negli anni successivi).

Partecipò con successo al concorso per l'ammissione all'Accademia navale, da cui uscì con il grado di Ufficiale di vascello, completando nel frattempo anche gli studi universitari a Venezia, dove si laureò in Scienze applicate alla carriera diplomatica. Navigò a lungo, visitando numerosi Paesi, sia in tempo di pace che di guerra (al comando di motosiluranti, torpediniere ed unità ausiliarie). Partecipò alla guerra di liberazione e durante l'occupazione nazista fu costretto alla clandestinità a causa della sua appartenenza all'ebraismo ed alle Forze armate italiane: falsificando la sua identità, assunse il cognome di Orseri. Trovò riparo presso la famiglia Solimene di Avellino. In seguito, accoglierà nella sua abitazione romana l'anziana signora Solimene con la figlia Rodia, costrette per difficoltà economiche a vendere la loro casa. La signorina Rodia resterà presso di lui dopo la morte della madre, svolgendo funzioni di segretaria, fino al termine della sua vita.

Dopo la liberazione fu in forza presso la Stato maggiore generale ed ebbe un'esperienza come giudice militare. Lasciò la carriera nel 1949, con il grado di capitano di vascello, rinunciando all'avanzamento.
Nel 1950 si iscrisse all'Ordine dei pubblicisti avviando l'attività editoriale che contraddistinse la seconda parte della sua vita e collaborando ad alcune riviste (La via, Il Piccolo, Cronache sociali). In quegli anni assunse ufficialmente il cognome Orseri: una scelta della quale non si trova spiegazione se non con la volontà di segnare un distacco dalla precedente fase della sua vita.

L'impegno civile e culturale di Remo Orseri era iniziato già nel 1943. Ancora con il nome di Remo Morpurgo si era dedicato con entusiasmo alla creazione a Roma di un circolo culturale con il proposito di «raggruppare tutti coloro che a noi si sentono affini nello spirito, intimamente o almeno tendenzialmente cattolico, affini nel campo culturale e nell'atteggiamento di fronte alla vita». Lo scopo, «limitato e pur vasto» era quello di realizzare «una semplice ricreazione e distensione mentale, data dal piacere di trovarsi fra amici». Il progetto non dovette avere un grande seguito, giacché nel Natale del 1946 Remo Morpurgo chiama di nuovo a raccolta alcuni amici allo scopo di dare vita ad un Circolo di collaborazione culturale intitolato ad Alessandro Manzoni, con il duplice scopo di «costituire una rete di contatti fra persone spiritualmente affini e costituire in ogni città e ogni paese Circoli, ritrovi, club dove questi amici si possano incontrare in un ambiente simpatico per discutere e chiarire le loro idee». Negli anni successivi questi progetti troveranno una più limitata ma concreta attuazione nella costituzione, a Roma, di un gruppo di studio e di discussione su temi culturali e religiosi, del quale egli sarà convinto ed assiduo animatore.

Nel 1943 aveva avuto inizio la sua militanza nella Democrazia cristiana, ancora organizzata in modo clandestino: riceverà la tessera fino al 1972. Nel 1955 appare il suo primo libro "Ed ogni giorno rinasce il sole": una raccolta di riflessioni "poetico religiose" sulla radice comune di tutte le fedi. In questo volume Remo Orseri anticipa alcune posizioni assunte in seguito dal Concilio vaticano II, trattando con vivacità il tema del rapporto della Chiesa cattolica con il mondo contemporaneo. Egli sostiene tra l'altro che la Chiesa deve modernizzare la propria liturgia per consentire una partecipazione più diretta e quindi più intensa dei fedeli.

L'anno successivo ha inizio la sua attività di amministratore pubblico dell'Ente Eur di Roma, di cui diventerà Vice Commissario. Si tratta di un'esperienza conclusasi dopo ventisette anni, nel 1983, della quale amava sottolineare il suo «atteggiamento di rigido e scrupoloso amministratore».
Nel 1961 esce il suo secondo libro: "Mon Ho. Sogno d'armonia", un romanzo storico ambientato nella Cina dell'inizio del secolo, in cui affronta il tema della evangelizzazione cattolica fino alla rivoluzione maoista. Nel 1973, con lo pseudonimo di Rom Kennor, pubblica "Tikva. La porta della speranza. Da Mosè a Dayan", in cui descrive la condizione degli ebrei tra il dramma dell'olocausto, la nascita dello Stato di Israele ed il difficile rapporto con la popolazione araba. Nel 1978 li libro verrà pubblicato in lingua inglese con il titolo "Jerusalem. Prisoner of hope", nel quale il suo nome di autore appare variato in Remo Orsery. Ancora nel 1973 affronta un lungo viaggio in Medio Oriente, visitando il Libano, la Siria e la Giordania: nel 1979 ne trarrà un lungo racconto, rimasto inedito.

Accanto alla produzione letteraria, Orseri mantiene frequenti contatti epistolari. Da un lato intesse contatti con esponenti della gerarchia ecclesiastica che vivono ed operano in regioni di confine: la Cina, l'Africa, il Medio Oriente. Da essi cerca costantemente di ottenere informazioni e suggerimenti per i suoi scritti, ma anche giudizi sulla effettiva rispondenza delle sue riflessioni alla realtà storica. Da un altro lato avvia una mai interrotta corrispondenza con monasteri femminili di clausura, in particolare con l'Eremo agostiniano di Lecceto, nei pressi di Siena, come anche con alcune detenute.
Nel 1981 è colpito da un infarto, che lo porta a trascorrere lunghi periodi a Praiano, sulla costiera amalfitana. Nel 1986 tenta di riunire le sue riflessioni sulla necessità di aggiornare la liturgia cattolica per renderla più comprensibile alle altre culture, al fine di arrivare - come scrive egli stesso - ad una «Chiesa con le ali». Sono anni in cui comincia a sentirsi più solo: nel 1983 annota «ora sono solo e non sto neanche tanto bene» e nel 1988 scrive al dott. Guglielmina, «io sono un po' stanco di lottare [...] ed anche il cane è diventato vecchio».

Sono gli stessi anni in cui matura l'idea della Fondazione. In una lettera al dott. Guglielmina, del 14 aprile 1988, scrive: «come le ho accennato, vorrei lasciare i miei beni ad una fondazione editoriale senza scopi di lucro»; il 16 aprile scrive al prof. Scoppola nello stesso senso. Progetta insomma una iniziativa stabile, che assicuri continuità alle sue intuizioni e alle sue aspirazioni ideali.
Muore il 17 luglio 1990, dopo un improvviso ricovero in ospedale, senza mai avere interrotto la sua attività di osservatore curioso ed attento delle vicende del mondo contemporaneo. (p.c.)